Tuesday 19 January 2010

Homework Dossier 4 - Massi

Una persona con cui ho avuto un rapporto molto importante era  mio fratello, Massimiliano (di solito detto Massi). Nato tre anni prima di me, Massi aveva una conoscenza molto più elevata delle cose che per un ragazzo sono le più interessanti dei miei compagni di scuola, e – per questo – diventò un modello comportamentale, idolizzato da noi in un modo di cui un insegnante può solo sognare. Fu lui ad introdurmi alle cose che di solito uno scopre qualche anno dopo: le parolacce, la prima sigaretta e l’adrenalina che ti fa scoppiare il cuore quando scappi da una casa alla quale sei stato scelto di lanciare un uovo.

Era questo il nostro rapporto, per me non era assolutamente parassitico. Disuguale, certo, ma perfetto per tutti e due. Quando ero con lui mi sentivo adulto, e lui si sentiva di nuovo bambino. Io avevo la possibilità di vantarmi ai miei amici delle cose ‘adulte’ che avevo fatto, e lui naturalmente ne traeva il vantaggio di farmi fare le cose che benché lo facessero ridere, non poteva rischiare di fare in persona perché ormai era troppo grande.

“Dai, Alessandro, non fare il bebè. Tira il sasso, tanto non ti vede nessuno!”

Di litigi ce n’erano tanti, e a volte anche molto violenti. Mi viene in mente una volta che avevo dieci anni, lui tredici,  quando stavamo giocando assieme nel cortile. Dopo qualche oretta, arrivò un suo amico a bussare alla porta, voleva giocare con Massi. Mio fratello abbandonò quello che stava facendo con me e mi disse di “non rompere le palle, Ale” quando chiesi di venire anch’io. Non so esattamente quale sia stato il motivo – probabilmente che, lasciandomi per uno più grande, Massi mi aveva ricordato che ero solo un bambino e che lui era grande – mi si annebbió  la vista di rabbia e gli diedi un pugno tra le gambe. Lui si sgonfiò per qualche secondo, rotolando per terra con la faccia contorta dal dolore finché si alzò, trasformato in mostro furioso e mi riempi di botte. Vinse lui. Quando ci penso ora, questi scontri erano tra due bambini maschi con un rapporto sano e non hanno nessun impatto sul mio ricordo di Massi.

Nonostante i cambiamenti che accaddero negli anni successivi, il nostro rapporto rimase stabile e, anche se non lo avremmo mai ammesso, amoroso. Ma la vita ha una tendenza ad ingannarti, a capovolgere tutto ciò che ti sembra stabile e meritato e di togliertelo, di strapparti il cuore dal petto e di pestartelo, lasciandoti vuoto e inutile raggrinzito con la faccia seppellita in un cuscino fradicio di lacrime con il mal di testa che ti viene solo quando non ti rimangano più lacrime o fiato dagli urli primitivi e silenziosi di dolore.

La mia vita cambiò l’undici luglio duemila e sette grazie ad una catena di eventi in se stessi poco significanti e completamente evitabili. Se Massi non fosse uscito dalla discoteca qualche minuto prima dei suoi amici, se l’autista della Peugeot rossa non avesse deciso in quel momento di pistolare con la radio, se il vento non avesse portato la pioggia e la nebbia proprio quella sera, forse sarebbe stata un’altra mamma a rispondere alla porta nel cuor della notte a due poliziotti. Ma non fu così. Massi, stanco di ballare, scelse di usci dalla discoteca e si incamminò verso casa, l’autista della Peugeot rossa scelse di cambiare la stazione della radio mentre guidava, il vento portò la nebbia il giorno prima e fummo noi ad aprire la porta alle tre di mattino.

La rabbia è peggio del dolore. Il dolore ti annienta, ti riduce a niente e ti tortura sia di giorno che nei sogni. La rabbia, invece, ti consuma e ti inganna. Ti da motivazione solo di infliggere il tuo dolore sugl’altri, e ti presenta l’idea che il tuo dolore dovrebbe appartenere al responsabile e, trasferendoglielo, se ne andrà. Ma non ci si può ragionare. A salvarti sono i ricordi. Non è come nei film, i ricordi che ti vengono in mente più spessi sono quelli indescrivibili che non hanno significato per gli altri. Ricordi come la memoria di una sua faccia stupida che faceva quando si girava mentre guidava, sorriso da ebete e strabico e la mamma che si spaventava perche doveva guardare la strada. Ricordi come questi ti riducono alle lacrime mentre sorridi, ti curano solo dopo avendoti ricordato di quello che non c’è più, ma la parte importante e che ti curano. Il dolore non se ne va, diminuisce lentamente fino al punto dove sei di nuovo capace di ridere a squarciagola ma rimane con te, come il vento che vedi solo quando carezza il grano del campo di ricordi.